Recensione da “Il Foglio”
Sulle pagine de “Il Foglio” è stato pubblicato, a firma di Mauro Berruto, un interessante articolo sulle vicende che hanno accompagnato la stesura dell’opera di Mario Alighiero Manacorda “Diana e le Muse”.
Qui sotto il link all’articolo
https://www.pressreader.com/italy/il-foglio-quotidiano/20200118/281844350588835
LO SPORT È POESIA, ROMANZO, TEATRO. TREMILA ANNI DI STORIA IN QUATTRO LIBRI
Decenni di studio, un computer che si rompe e la memoria di un ultranovantenne. L’incredibile storia dietro a “Diana e le Muse”, la più monumentale opera di narrazione dello sport come fatto culturale
Illustrazione di Maria Gabriella
Il Foglio QuotidianodI MAURO BERRUTO
17 gennaio 2008. Ho lasciato stare questi “Minima” per un anno e più, non perché me ne mancassero spunti (specialmente notturni, come succede), ma perché vanamente impegnato nella ricostruzione del mio “Diana e le Muse”, che avevo perduto nel vecchio computer ed è ormai impossibile da ricostruire. Era frutto di ricerche in biblioteca, saltuarie ma durate un paio di decenni: chi mi ridà oggi, a novantatré anni suonati, due decenni di vita?
Questo appunto, trovato sul desktop dell’ultimo computer di Mario Alighiero Manacorda dal nipote Daniele, docente ordinario di Metodologia e tecnica della ricerca archeologica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Tre, è l’incipit di questa storia straordinaria. La signora Annamaria, compagna di ottanta anni di una vita per entrambi centenaria, quel computer lo chiamava “il mio rivale”, perché terzo, certamente non troppo incomodo, protagonista degli ultimi anni di quelle lunghissime, ma soprattutto densissime, vite. L’immagine, struggente, la ricostruisce proprio il nipote, Daniele: “Un tavolino, un computer, una ultranovantenne immersa in continue e profonde letture e un ultranovantenne chino sulla tastiera, fra pile di libri scritti in tutte le lingue, e un taccuino, sul quale scriveva frasi di vita e di amore quotidiano per lei, completamente chiusa nella sua profonda sordità, ma viva e presente con i gesti e gli sguardi”. Il “rivale”, descritto con humor da quella donna intelligente e colta, in realtà lo scherzo peggiore lo aveva fatto proprio al marito, Mario Alighiero, bruciando nel proprio hard disk il lavoro di una vita.
Decenni di ricerche bibliografiche, di raccolta di informazioni, di traduzioni dal greco e dal latino, di appunti, di intuizioni, svaniti per sempre, cancellati irrimediabilmente. Come una biblioteca che va a fuoco, come quelle malattie che portano alla perdita irreversibile della memoria, come un terremoto che distrugge la volta di una basilica affrescata da un artista geniale. Probabilmente è capitato a tutti noi di perdere degli appunti preziosi, un archivio, la busta dove conservavamo le lettere scritte dal nostro primo amore o i documenti da passare al commercialista per la dichiarazione dei redditi. Nel migliore dei casi la prendiamo come una mezza tragedia. Ecco, chiudete gli occhi e immaginate un signore novantatreenne che si domanda, con gli occhi fissi su un display morto di un computer: “Chi me li ridà due decenni di vita?”.
Una questione non solo intellettuale
Quel libro, tuttavia, andava scritto. Lo richiedeva l’impegno a tramandare il valore della cultura che aveva contraddistinto l’esistenza intera di Mario Alighiero Manacorda. Si trattava di una questione non solo intellettuale o storica, ma letteralmente ideologica. Un vero e proprio dovere civico. D’altronde l’impegno politico non era mai venuto meno nella sua vita, così come il fiero orgoglio dell’essere pedagogo. Anzi, dell’aver scritto alcune fra le pagine più importanti della storia della pedagogia del secondo Novecento, sul piano teorico, come intellettuale, sul piano didattico con la sua intensa attività accademica e sul piano politico. Nella mente illuminata di Mario Alighiero Manacorda lo sport, la cultura e la pedagogia erano un intreccio indissolubile e quel libro andava scritto, a tutti i costi, perché nessuno prima aveva mai pensato di scrivere un libro così: una millenaria storia dello sport costruita su un doppio binario, quello della letteratura e quello delle immagini. Qualcosa che solitamente tutti gli intellettuali tendono a separare e che invece la visione dell’uomo onnilaterale di Mario Alighiero Manacorda teneva intimamente insieme: corpo e mente, materia e spirito. Nel computer non c’era più niente, ma nel suo cervello di anziano era ancora tutto lì, e anche in un certo ordine. Nella sua vita lo sport studiato, letto, ricostruito da un punto di vista storico era sempre stato accompagnato dallo sport praticato. Ricorda ancora Daniele, il nipote che ha amato quello zio come un secondo padre: “Mario gli sport li praticava, fin da bambino. E ci si rompeva pure le ossa. Facendo ginnastica nel cortile del collegio per orfani dove ha passato dieci anni della sua infanzia, si procurò la sua prima frattura. E col passare degli anni, sport e fratture continuano a darsi la mano. Tra i giovani sottufficiali di complemento, era il solo laureato ed era finito un po’ per caso tra i bersaglieri, milizia non particolarmente intellettuale, solo perché, da studente “normalista” all’Università di Pisa, avendo chiesto per i corsi obbligatori della premilitare di andare tra gli Alpini, era stato portato dalla Milizia universitaria fascista a sciare sull’Abetone; e lì, inesperto di tutto, da nessuno addestrato e dunque spericolato, alla prima discesa aveva perso gli sci, e alla seconda, fissatili ben bene ai piedi, non li perse, ma si ruppe una gamba. Così da progettato intellettuale alpino, e preferendo comunque la bicicletta all’ordine chiuso della semplice fanteria, era diventato un gagliardo bersagliere, con tanto di piume di gallo sul cappello”. Coerentemente alle equazioni del suo credo (esercizio fisico = attività spirituale, fatica = medicina) probabilmente Mario Alighiero Manacorda si comportò di fronte a quell’hard disk andato in fumo come quella volta in cui perse gli sci sull’Abetone. Si legò ancora più stretto al suo obiettivo e ricominciò da capo. Grazie al cielo, verrebbe da aggiungere. Il lavoro di ricostruzione, negli ultimi anni di una vita incredibile, di quel gigantesco patrimonio intellettuale è stato meravigliosamente raccolto da quattro persone che stanno portando a compimento il sogno di una vita e regalando a tutti noi, appassionati del genere, quella che non esito a definire la più monumentale opera di narrazione della storia dello sport come fatto culturale mai scritta. Il team è composto da Rosella Frasca, Paolo Ogliotti, Aldo Russo e Flavio Silvestrini, e si è occupato (e ancora si sta occupando) della curatela di Diana e le Muse. Tremila anni di sport nella letteratura. Il titolo dell’opera, genialmente voluto dal Professore, mette in relazione la dea presa a simbolo delle attività ludiche e sportive con le nove figlie di Zeus, ispiratrici del canto e della poesia. Il piano editoriale comprende quattro volumi, che saranno tutti pubblicati dalla casa editrice Lancillotto e Nausica, nata circa trent’anni fa in occasione della pubblicazione di una rivista di critica e storia dello sport che porta lo stesso nome. Ci si commuove, non è retorica, nel leggere le due prefazioni dedicate “Al lettore” dove Mario Alighiero Manacorda, di proprio pugno, si rivolge in prima persona al fruitore finale dell’opera. Al di là del contenuto, commuove l’idea che un anziano studioso ultranovantenne dimostri di voler affidare il lavoro di una vita ad altri umani, come tenti di spiegare quel dono prezioso, come chieda cura, affetto, come inviti alla conservazione di quell’intensità che lo ha generato. Un dono prezioso per tutti noi, dedicato alla donna che per 80 anni era stata al suo fianco, nel modo più lineare, diretto, chiaro, immaginabile: Ad Annamaria.
I (primi) due volumi
Il volume numero 1 è stato pubblicato nel 2016 e sfoggia in copertina la riproduzione di un capolavoro, l’affresco della Tomba del Tuffatore di Paestum, rivisitata con un meraviglioso vezzo intellettuale: quel mare (che rappresenta la conoscenza, l’aldilà o chissà che altro) e che è in eterna attesa di accogliere il protagonista di quel gesto atletico, si appoggia su due citazioni: una in latino e una in greco, dall’Eneide di Virgilio (“Alcuni esercitano le membra in palestre erbose, si sfidano nel gioco e lottano sulla bionda sabbia”) e dal Timeo di Platone (“Vi è una sola salvezza: non muovere l’anima senza il corpo, né il corpo senza l’anima”). Quel mare letterario, che contiene le due grandi culture classiche da cui tutti noi proveniamo, è lì pronto ad accogliere anche il nostro tuffo dentro a 350 pagine di intrecci che ci raccontano della Grecia arcaica, di Omero, della Roma preistorica, di quella etrusca, di quella repubblicana, di quella imperiale. Sono sessantotto, se abbiamo contato bene, gli autori, da Omero a Procopio, che vengono investigati nel loro rapporto e nella loro produzione letteraria riferita, in qualche modo, allo sport. Un lavoro incredibile, uno scrigno prezioso, davvero unico nel genere.
Il secondo volume, invece, è stato pubblicato pochi mesi fa, nell’autunno del 2019. In copertina c’è lo scontro fra il paladino Orlando e il saraceno Ferraù, riprodotto nel 16° pannello delle vetrate della Cattedrale
di Chartres. “Di entrambe le cose deve aver discernimento l’accorto combattente, di parole e di opere” è la citazione scelta per la copertina, tratta dal poema scritto in lingua anglosassone arcaica Beowulf e che accompagna il lettore in un altro tuffo, il cui orizzonte temporale va dal Medioevo al Rinascimento. Un lungo periodo, quello tra il primo e il secondo millennio, in cui si gettano le basi dell’Europa moderna in cui il gioco, lo sport, abbandona il suo rapporto con la religione, anzi le volta le spalle, e diventa spettacolo, sfarzo, esibizione, mimesi tutt’altro che metaforica della guerra. Tra duelli, tornei, guerre in un viaggio che parte dal Sacro Romano Impero, si passa attraverso il basso e l’alto Medioevo, il Quattrocento, l’Umanesimo e il Rinascimento e decine e decine di autori a cui Mario Alighiero Manacorda passa un virtuale testimone. Dai poemi epici europei, a Marco Polo, da Dante, Petrarca, Boccaccio a Savonarola, Vittorino da Feltre, Erasmo da Rotterdam, Ariosto e tantissimi altri autori, per nulla minori. Un viaggio, meraviglioso, quanto quello che ci aveva accompagnato nel volume precedente, al tempo dei classici.
C’è una specificità nel lavoro di curatela, oltre a quello relativo al testo e alle fonti e all’utilizzo dei riferimenti iconografici indicati da Mario Alighiero Manacorda (la sua ultima raccomandazione, poco prima di andarsene a 99 anni, fu proprio nei confronti del gruppo di lavoro che negli ultimi anni lo aveva affiancato per la curatela dell’opera): quella di realizzare una vera e propria sezione autonoma costituita da un discorso per immagini e citazioni. Nel primo volume Il corpo dell’eroe, nel secondo Il corpo in armi.
La casa editrice Lancillotto e Nausica sta pubblicando il lavoro di ricerca unico di Mario Alighiero Manacorda
Dopo il tomo su Grecia e Roma, quello su Medioevo e Rinascimento. Il terzo è quasi pronto, sul quar to c’è una squadra al lavoro
Il futuro
Come si suole dire, siamo a metà dell’opera. Il terzo volume è quasi pronto e il 2020 sarà, con tutta probabilità, l’anno di pubblicazione. Il periodo storico oggetto di indagine sarà quello dalla Controriforma alla Rivoluzione Francese, mentre il quarto e ultimo volume, sul quale i curatori sono già al lavoro, ci accompagnerà nella riflessione su sport e letteratura dall’industrializzazione fino ai giorni nostri. Si compirà, dunque, grazia alla visione straordinaria di un gigante, Mario Alighiero Manacorda, e al lavoro di un team di persone che sta concretizzando quella visione, un’affascinante rivincita. Un patrimonio intellettuale che sembrava disperso per sempre, è stato recuperato grazie al motore inesauribile della passione, dello sforzo, della fatica, della dedizione assoluta. Sembra di raccontare la conquista di un atleta capace di essere andato oltre ai suoi limiti, di un campione che ha saputo, pagando tutto il prezzo necessario, trasformare tutto il proprio talento, il proprio potenziale, in una performance. L’atleta in questione è Mario Alighiero Manacorda, un talento che ce l’ha fatta, anche se non è stato in grado di vedere con i propri occhi il lavoro terminato. Ci ha pensato, anche per lui, la sua squadra. Ci piace pensare che il Professore avrebbe apprezzato questa metafora. Lui, atleta dell’intelletto. Lui, fuoriclasse assoluto.
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